Parliamone in quanto atto creativo, forza generatrice, stato dell’essere assimilabile al divino in quanto propulsore di vita.
Era il 2018 quando creai Inkakì, il mio luogo felice, dove collezionare le cose belle che amavo e che continuo ad amare. Un luogo sì, virtuale ma non troppo, dove poter raccontare la terra che vivo e che di virtuale ha ben poco. Uno spazio nel quale il racconto incontra la quotidianità, il ritratto di tutte quelle cose belle sulle quali il mio sguardo si posa e che la mia mente elabora col ricordo. Insomma, momenti, profumi, colori e persone che si imprimono nella memoria. Storie, oggetti, pezzi d’arte, cibo e design, tovaglie di lino e camicie stropicciate. Nessun limite.
Deve essere stato un periodo dell’anima davvero fertile quello, e non solo dell’anima, perché subito dopo la nascita di Inkakì restai incinta di mio figlio.
Ho sempre ammirato quelle donne multitasking dai super poteri che cucinano mentre allattano parlando di lavoro al cellulare, il tutto con la nonchalance della Dea indiana Kalì dalle infinite braccia.
Sempre, sì, fino a quando non sono diventata madre anch’io. Io, invece, ho deciso di farmi sopraffare dall’ondata d’amore per quella nuova creatura, la mia più perfetta, che adesso avevo tra le braccia. Inkakì, come il resto, poteva aspettare. Ho allattato mio figlio per diciotto mesi e durante ogni poppata sentivo il suo respiro aggrapparsi al mio cuore. Ho amato la lentezza di quei giorni, fino a quando quella lentezza non si è trasformata in spazi vuoti da riempire e così ho capito che era giunto il momento di tornare a riprendere in mano i miei progetti, il mio lavoro, la mia vita di donna, oltre che di madre.
E questa lunga pausa mi ha temprata. È scritto, da qualche parte, o forse no, che è la creatura a plasmare il creatore e non viceversa, ovvero che la creatura modifica in qualche modo il creatore nella sua percezione del mondo e delle cose. È anche scritto, questo quasi sicuramente in qualche rivista scientifica di ultima generazione, che i neonati che abbandonano il ventre materno per correre verso la luce alla fine del tunnel, lasciano parte del loro dna nel corpo della madre, rendendola per sempre e irreversibilmente, un’altra donna rispetto a quella che biologicamente era prima della gravidanza. La creatura che plasma il creatore, appunto.
Mio figlio mi ha donato plasticità e leggerezza. Sono tornata a cantare, a stupirmi, a ballare, a ridere di gusto. L’approccio è totalmente cambiato, alle cose e alle persone.
Ritorno, quindi, anche su Inkakì, con un approccio nuovo. Non so di cosa parlerò ma so che sarà di cose belle, senza compartimenti stagni, senza scatole né confezioni, solo fluidità di interessi. Se cercate l’ordine statene lontani, qui c’è solo un empatico, a tratti lucido a tratti meno ma sempre, comunque e soprattutto, sincero flusso di coscienza.
Solo per coloro che non hanno paura di guardarsi allo specchio e scorgere il vero riflesso della fragilità e dell’imperfezione.
Insomma, solo per persone forti o, come dice mio figlio, forti come King Kong.
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